La Terapia della Gestalt

Frederick Perls e le origini della Terapia della Gestalt

La Terapia della Gestalt nasce in America verso gli anni ’50 ad opera di Frederick Perls (1893-1970). Perls nacque a Berlino e si laureò in Medicina nel 1921.

Lavorando a Francoforte, il suo pensiero fu profondamente influenzato dalla Teoria di Goldstein il quale vedeva l’organismo come una totalità dotata di capacità auto-attualizzazione e strettamente collegata all’ambiente esterno. Questi concetti furono poi da lui ampliati e inseriti nella costruzione della sua teoria della personalità.

Con l’avvento del nazismo, Perls fuggì in Olanda e dovette perciò interrompere il suo training psicanalitico. Dopo essere giunto in Sud Africa e avervi fondato il South African Institute for Psychoanalysis, cominciò a mettere in discussione vari aspetti della psicoanalisi ortodossa fino ad una dichiarata rottura nel 1936 in occasione di una sua relazione inviata al Congresso Psicanalitico Internazionale che si teneva in Cecoslovacchia.

Nel 1946, Perls si stabilisce definitivamente negli Stati Uniti. Nel 1947 viene redatta la prima formulazione teorica del suo pensiero, a cui collaborano anche Laura Perls e Paul Goodman. Questa trova poi la sua più compiuta sistematizzazione nel 1951 nel testo “Gestalt Therapy“, scritto con Hefferline e Goodman.

Perls conduce numerosi seminari e workshops professionali e la Terapia della Gestalt comincia la sua grande diffusione prima negli Stati Uniti e poi in Europa. Uno dei suoi seguaci più autorevoli è stato J. Simkin, ora scomparso, che si era formato con lui e sua moglie Laura presso l’Istituto di New York dove aveva avviato il primo gruppo di training nel 1968.

I concetti fondamentali della Terapia della Gestalt

La Terapia della Gestalt si inserisce nella corrente umanistico-esistenziale e raccoglie diverse influenze culturali. Per esempio vi trovano espressione:

  • l’affermazione della Fenomenologia di Husserl che il metodo per studiare l’uomo deve essere necessariamente soggettivo;

  • l’abbandono del concetto di causalità e la sua sostituzione con quello di “probabilità” avviato dalla teoria della relatività di Einstein;

  • l’affermazione della Psicologia della Gestalt che il comportamento è determinato non dalla realtà oggettiva del mondo fenomenico, ma dal modo soggettivo in cui i fenomeni sono colti con immediatezza nel campo percettivo;

  • l’idea tipica della Teoria del Campo di Lewin che osservatore e osservato sono elementi di un unico processo e che l’osservatore non può essere considerato separatamente dal campo di osservazione.

A partire dal contesto culturale sopra descritto, la teorizzazione di Perls include i seguenti concetti fondamentali:

  1. Ogni essere vivente è un organismo, ossia un insieme di parti collegate tra loro in modo più o meno integrato (istanze, sentimenti, bisogni, pensieri, comportamenti, azioni) che funzionano come un’unità. Il funzionamento del tutto è più della somma delle parti che lo compongono. Poiché la persona è costituita dal funzionamento integrato dei suoi vari aspetti, ne deriva che curare esclusivamente una parte della persona o considerarla come la causa del problema non è un’operazione corretta, dato che si viene a frammentare arbitrariamente ciò che invece funziona come un’unità.

  1. Ogni parte ha la sua antitesi o polarità complementare che costituiscono a turno figura o sfondo alternandosi nel campo percettivo del qui e ora. Il significato di ogni esperienza pertanto consiste nel particolare rapporto esistente tra figura e sfondo in un dato momento. Tutte le parti dell’individuo devono aver la possibilità di esistere, di essere riconosciute ed espresse. Quando un organismo è pienamente funzionante, ogni polarità ha diritto di emergere senza che questo implichi che una vince e l’altra perde. La loro alternanza sulla scena non è altro che il risultato di un processo continuo e creativo di adattamento finalizzato alla soddisfazione dei bisogni dell’individuo.

  1. Il concetto di Figura-sfondo è fondamentale per spiegare il funzionamento del comportamento umano. Nella dinamica della vita, l’unità organismo-ambiente rappresenta lo “sfondo“, il campo indifferenziato in cui a un certo punto emerge una figura detta “Gestalt”, ossia l’elemento su cui si focalizza l’attenzione a causa della consapevolezza di un bisogno in attesa di risposta. Tutto ciò che siamo e che facciamo è organizzato da una gerarchia di bisogni che si manifestano continuamente, sotto forma di “figure” in primo piano nella nostra esperienza. Pertanto è ciò per cui una persona nutre interesse da un punto di vista psico-fisico che organizza la scena e le fornisce un significato e l’organismo si mobiliterà per trovare nell’ambiente la risposta alle sue mutevoli necessità.

  1. In ogni momento l’organismo può essere in uno stato di equilibrio omeostatico oppure in una condizione di temporaneo squilibrio che richiede un aggiustamento. Quando la persona percepisce un’alterazione del suo stato di benessere, la sua attenzione è destinata a spostarsi verso oggetti capaci di aiutarlo a ripristinare l’equilibrio turbato. Una volta che il bisogno è soddisfatto, la “figura” emersa è destinata a confondersi nuovamente nello “sfondo”.

  1. Il processo periodico di emergenza dei bisogni personali e della loro soddisfazione grazie ad un’azione nell’ambiente, viene definito da Perls ciclo della consapevolezza, ciclo dell’istinto o ciclo dell’esperienza. Quando siamo pienamente consapevoli di ciò che ci occorre nel qui e ora, possiamo soddisfare il nostro bisogno attraverso il contatto Io-Tu, Io-Ambiente. Se al confine c’è confusione tra mondo interno e mondo esterno, operiamo attraverso meccanismi di difesa. I disordini del confine non ci permettono di identificare correttamente né il bisogno nè l’azione utile a rispondervi e rimarremo insoddisfatti: “la Gestalt rimane aperta“.

  1. Nella Terapia della Gestalt l’enfasi è sul focalizzare l’attenzione sul qui e ora anche per quanto riguarda la relazione tra il terapeuta e il paziente. A tale proposito il terapeuta deve dare importanza ad ogni elemento presente nel campo percettivo, compresi i comportamenti del paziente durante la seduta e i significati trasmessi dal non verbale. L’attenzione al linguaggio del corpo, rientra nella visione olistica dell’uomo che Perls condivideva pienamente con lo psicanalista Wilhelm Reich.

Il ciclo sano di formazione e distruzione della Gestalt

La normale alternanza tra formazione e distruzione della Gestalt viene definita flusso organismico.

Per esempio nella respirazione naturale, quando è in primo piano il bisogno di ossigeno, l’organismo produce l’azione dell’inspirazione, quando è in primo piano il bisogno di espellere lo scarto dell’inspirazione, viene attuata l’espirazione.

O ancora, immaginiamo una persona che si riposa in giardino in una calda giornata di primavera. La sua attenzione fluttuante è orientata al canto degli uccelli, a guardare i fiori appena sbocciati e due deliziosi gattini che si rincorrono nell’erba.

Queste immagini e questi suoni sono per lui la figura in primo piano, e costituiscono la Gestalt del suo campo di consapevolezza. Gradualmente la temperatura esterna aumenta, allora la persona, anche se sta ancora prestando attenzione alle immagini ed ai suoni del giardino, istintivamente comincia a sventolarsi con un giornale.

Infine, con l’aumentare del caldo, emerge una nuova figura cioè il bisogno di rinfrescarsi. I gattini, i fiori e gli uccellini non occupano più l’attenzione, quella che era la figura in primo piano diventa sfondo. Ora il focus è sulla necessità di mantenere il proprio corpo ad una temperatura confortevole, così occorre attivarsi per ripristinare l’equilibrio scegliendo un’azione idonea, per esempio spostandosi all’ombra, o alleggerendo l’abbigliamento. Una volta raggiunto lo scopo e il benessere, la persona sarà di nuovo in equilibrio, pronta a percepire l’emergenza di un altro bisogno e al ripetersi della sequenza che porta alla chiusura di ogni nuova Gestalt.

Se non ci sono interruzioni al flusso, ogni nuovo bisogno emergente diventa una figura chiara che continua a spiccare fino a quando la persona le presta attenzione poi tornerà a confondersi con lo sfondo e il ciclo ricomincerà per il soddisfare i successivi mutevoli bisogni dell’individuo. Questo è il fenomeno della autoregolazione” organismica, il modo in cui nel corso di una vita sana, le persone regolano le loro normali funzioni: respirazione, attività escretiva, sessualità ecc.

I cicli maggiori, per esempio le sequenze degli stadi di sviluppo adulto, possono avere la durata di una vita, quelli minori si esauriranno anche in tempi brevissimi. In ogni caso le unità più piccole dell’esperienza rispecchiano quelle più grandi e seguono gli stessi principi, per esempio vi è un’analogia tra la struttura dell’atomo e quella del sistema solare.

Le fasi del ciclo sano

Esaminiamo ora più in dettaglio le singole fasi che sono rappresentate nella figura 1 . Qui descriviamo il ciclo a partire dalla fase del ritiro, ma potremmo iniziare partendo da uno qualsiasi dei vari momenti, secondo un modello di sequenza circolare piuttosto che lineare.

Figura 1 – Le fasi del ciclo sano

Le fasi del ciclo sano

Ritiro

Nella fase di del ritiro o riposo, l’organismo è in uno stato di omeostasi. Non c’è una figura molto nitida in primo piano. Per esempio non fa né troppo caldo né troppo freddo, la persona non è né ansiosa né eccitata, non sperimenta né desiderio sessuale né deprivazione sessuale. Si sente calma e riposata avendo già compiuto un ciclo sano di compimento di una Gestalt precedente. La sua attenzione è fluttuante e poco focalizzata.

Sensazione

Nel movimento costante della vita, ben presto emergono nuove carenze o nuovi eccessi. Il precedente equilibrio è infranto a causa di perturbazioni che possono essere interne o esterne.

L’avvio del processo di formazione figura/sfondo è innescato da stimoli si eccitamento sensoriale o propriocettivo che Perls definisce “pre-contatti“, e che vengono classificati in 4 gruppi:

  1. Impulsi diretti al contatto con l’ambiente, per esempio la fame e l’affetto.
  2. Percezioni dolorose che partono dal corpo, come per esempio il mal di testa o un dolore alla spalla.
  3. Emozioni o desideri scatenati da eventi esterni quali una litigata con il partner o un amorevole abbraccio da parte di un amico.
  4. Risposta fisiologica di riaggiustamento in relazione a cambiamenti ambientali quali variazioni nella temperatura, nel rumore, nel livello di stimolazione etc.

Gradualmente o all’improvviso, dallo sfondo indifferenziato comincia ad emergere una Gestalt che diventerà poi “figura”. In questo lo stadio l’organismo registra la nuova informazione esterocettiva in entrata, ma senza che questa si traduca in una piena consapevolezza. La persona potrebbe sperimentare un nuovo bisogno, per esempio desiderio di un caffè, oppure potrebbe essere sollecitata da nuove richieste dell’ambiente, come quando un nostro amico passa lì vicino e vedendoci ci fa un cenno di saluto.

Consapevolezza

La consapevolezza è uno dei modi in cui possiamo vivere le nostre esperienze. “E il processo dell’essere in un contatto vigile con l’evento più importante del campo individuo/ambiente, con un pieno sostegno sensomotorio, emozionale, cognitivo ed energetico” (Yontef, 1979).

Gli eventi che colpiscono la nostra coscienza a livello sensoriale o propriocettivo possono arrivare alla nostra consapevolezza all’improvviso o con gradualità.

Se lo stimolo è forte, per esempio un allarme per un incendio, la nuova figura si formerà in modo più chiaro e immediato, generando una risposta più rapida. Se lo stimolo è più debole, come quando sentiamo il bisogno di bere durante una lezione a scuola, ci vorrà più tempo prima che diventi una figura abbastanza potente da motivarci ad uscire per placare la nostra sete.

La consapevolezza non si riferisce esclusivamente al momento presente. Infatti, quando la situazione lo richieda, la risposta al qui e ora può coinvolgere anche una consapevolezza del passato o un’anticipazione del futuro.

Per esempio, un uomo di cinquant’anni che si è realizzato principalmente facendo una carriera di successo, è ora diventato consapevole di una nuova Gestalt: la sua graduale insoddisfazione per il vuoto emotivo delle sue relazioni con la famiglia e con gli amici. Prima la riuscita nel lavoro era per lui la figura o il bisogno dominante, ma lentamente la qualità delle sue relazioni è diventata sempre più importante. Ora la sua piena consapevolezza di questo nuovo bisogno reclama attenzione per il futuro, relegando sullo sfondo le sue precedenti ambizioni. Forse deciderà di affrontare una consulenza psicologica

Mobilizzazione

Una volta che la persona ha raggiunto la piena consapevolezza di un bisogno, sarà pronta a mobilitare le sue energie e ad usare le sue risorse per individuare a realizzare i passi necessari alla soddisfazione del bisogno. Il respiro si fa più profondo, i sensi sono aperti al massimo per meglio cogliere le informazioni provenienti dall’ambiente e il sistema motorio si attiva.

Per esempio, una giovane all’uscita dalla scuola secondaria ha individuato il suo nuovo obiettivo: vuole iscriversi all’università (Gestalt). La prospettiva di una carriera accademica la entusiasma, e comincia a documentarsi e a discuterne con i suoi professori del liceo o con parenti e amici. Infine si rivolge a un counsellor per essere guidata a fare una scelta ragionata tra le molte facoltà disponibili, visto che l’obiettivo richiederà un notevole investimento emotivo, fisico ed economico per molti anni.

Azione

In questa fase la persona sceglie e intraprende l’azione appropriata, cerca di superare gli eventuali ostacoli e, se necessario, sperimenta forme alternative di azione. I suoi comportamenti sono mirati al soddisfacimento ottimale dei bisogni nel momento presente.

Per un trentenne disoccupato la Gestalt è la ricerca di un’occupazione; le azioni che intraprende sono: presenta numerose domande di lavoro, verifica regolarmente le offerte di lavoro presso l’ufficio di collocamento, si tiene attivo tramite un’attività volontaria non retribuita per non perdere il contatto con la realtà del mondo lavorativo e acquisire nuove competenze, cerca di informarsi per stare al passo con le innovazioni più recenti.

Contatto finale

Ogni contatto pieno segna la chiusura di una particolare Gestalt. Nel momento in cui la scelta e realizzazione dell’azione idonea è stata compiuta, la persona sperimenta quello che Goodman e Perls definiscono “contatto finale“, un modo di vivere l’esperienza che si realizza attraverso l’uso congiunto di tutte le funzioni sensoriali e motorie (vista, udito, sensazione, movimento, tatto) e che consente di restare totalmente coinvolti in ciò che sta accadendo. Così la ragazza che si è poi iscritta alla Facoltà scelta, vive i vari momenti dell’esperienza universitaria impegandosi attivamente con tutta se stessa: sensazioni, emozioni, cognizione, comportamento ecc. sia quando le cose vanno secondo i suoi desideri, sia nei momenti di difficoltà.

Il contatto avviene al confine tra il sé e l’ambiente, ed è il nostro modo di creare un autentico e profondo rapporto con il nostro mondo. Infatti l’attenzione focalizzata diventa per un momento inseparabile da ciò che rappresenta il suo focus del momento.

Il contatto può essere stabilito soltanto ai confini di due elementi differenziati che si attraggono. La differenziazione permette di distinguere se stessi dagli altri, dagli oggetti, dagli animali o dagli aspetti della natura, di contattare singoli aspetti di sé (ricordi, immagini, emozioni) come parti distinte dalla persona nella sua interezza. Vedere un albero o un’alba, ascoltare il cinguettio degli uccelli o godere del silenzio di una radura ombrosa è contatto.

Il concetto di “buon contatto” è fondamentale nella Gestalt. Sul piano percettivo, il buon contatto si realizza quando si è in grado di mettere chiaramente a fuoco gli aspetti più importanti di una situazione personale e viverli senza che la piena attenzione sia distolta da stimoli di secondo piano o senza che questi riescano a distorcere la qualità dello scambio con l’altro o con l’ambiente.

Il contatto sarà più o meno soddisfacente nella misura in cui le influenze esterne irrilevanti possono essere neutralizzate o relegate nello sfondo.

Un esempio uditivo può essere quello della ragazza che riesce ad ascoltare chiaramente la conversazione del suo partner, coinvolgendosi pienamente con lui in una stanza piena di gente, in mezzo ai suoni disturbanti di altre persone che parlano ad alta voce, magari con una sgradevole musica di fondo che giunge dalle vicinanze.

Un esempio visivo è il modo in cui, in una stazione, il resto della folla che si accalca passa in secondo piano non appena la figura della persona che stiamo aspettando emerge dalla massa.

Per un tempo variabile, esiste per la persona solo quella Gestalt, una figura chiara e vivida che la fa vivere nel qui-ed-ora in modo ricco e spontaneo, godendo di ogni sensazione, emozione, pensiero di cui è composta quell’esperienza.

La persona sperimenta uno stato di coinvolgimento globale, poiché il contatto è più della somma di tutte le funzioni che vi sono implicate. L’attivazione fisica della vista e dell’udito non garantisce di per se che vi sia un buon contatto, mentre è più importante considerare il come una persona vede o ascolta.

Realizzare un buon contatto con altre persone, ma anche permetterci di sperimentare dolorosamente la separazione dagli altri, è l’unico mezzo che abbiamo per sentirci vivi. Vivere non è cambiare l’esistente o desiderare che sia diverso, ma ristabilire la naturale, vivacità, espressività e mobilità delle esperienze momento per momento.

Quando realizziamo il “buon contatto” si apre per noi una possibilità di cambiamento insperata, ma questo avviene spontaneamente senza che dobbiamo sforzarci di perseguirla. Possiamo sopravvivere e lasciar scorrere la nostra esistenza senza un’autentica partecipazione di ogni parte di noi stessi o possiamo consentirci di vivere appieno il tempo che ci è dato.

Soddisfazione

La successiva fase del post-contatto, si riferisce alla soddisfazione ed al compimento della Gestalt. In questa fase è possibile assaporare le esperienze mentre queste cominciano ad allontanarsi dal centro focale di attenzione e prima che si dissolvano nello sfondo. Ora la persona si concede di godere i frutti dell’avvenuta risposta al bisogno che ha innescato il ciclo, come accade quando una madre indugia nella gioia di poter tenere in braccio per la prima volta il figlio che poco prima era ancora parte di lei.

L’esperienza della transizione può estendere la pienezza del contatto raggiunto se si presta attenzione e si valorizza tale fase. Immergersi frettolosamente in quella successiva può essere un riflesso della scarsa importanza che la nostra società accorda al momento della chiusura delle esperienze umane. Ci si preoccupa spesso a lungo e con grande anticipo di possibili eventi futuri, ma raramente si dedica altrettanto tempo ed impegno per celebrare gli eventi dopo che essi sono accaduti.

Ritiro

La fase del post-contatto segna la fine del ciclo ed è seguita di nuovo dal ritiro, da quello stato di vuoto e di assenza di desideri dal quale potrà poi emergere un altro bisogno e l’avvio di un nuovo ciclo.

Se i processi naturali avranno la possibilità di giungere alle loro conclusioni in modo sano, i cicli, grandi o piccoli che siano, si realizzeranno in modo creativo e soddisfacente, ma in presenza di qualunque disturbo si verificherà una situazione di “malessere”. Vediamo ora i vari modi in cui il funzionamento piano ed armonioso di questo ciclo può essere disturbato.

Disfunzioni e disturbi nel ciclo

La teoria della Gestalt si basa sull’assunto che l’organismo vivente è fondamentalmente sano, orientato a mantenere la salute e l’equilibrio e capace di crescita. Perciò la nevrosi viene concepita come un “disordine della crescita” determinato da ostacoli e impedimenti nel naturale processo di auto-realizzazione.

Il malessere può esser visto come un disturbo nel flusso del ciclo di formazione della Gestalt oppure come una disfunzione in una o più fasi specifiche.

Quando il processo di formazione-distruzione-riformazione della Gestalt è ostacolato, la persona nega o rimuove i suoi originari bisogni organismici e sperimenta malessere sotto forma di rigidità, controllo, immobilità, resistenza, ansia. E incapace di liberarsi di vecchie identità non autentiche e di abitudini dannose consolidate e non si mostra facilmente disponibile verso nuove esperienze.

Il compito del terapeuta gestaltico consiste nell’aiutare la persona a ripristinare la sua spontanea capacità di autoregolarsi, eliminando gli impedimenti sopravvenuti nella sua evoluzione.

Affare non concluso

Ogni impulso o bisogno emergente diventa il focus della nostra attenzione e ci guida a fare qualcosa per completare il ciclo organismico. Può riferirsi alla realtà del momento, come quando si va a fare un riposino, o potrebbe avere origine in un affare non concluso del passato che cerca il suo completamento nel presente, come quando si cercano oggi riconoscimenti da persone autorevoli perché non si è avuta nell’infanzia la tanto desiderata approvazione di un genitore. Quando la situazione è chiusa, sarà sostituita dalla successiva in un susseguirsi ininterrotto di Gestalt incomplete, di situazioni non concluse.

Quando le persone non riescono a percorrere il ciclo della consapevolezza con spontaneità e in scioltezza, la soddisfazione dei loro bisogni è ostacolata o impedita e l’evento non è concluso.

L’affare non concluso può riferirsi a insoddisfacenti relazioni passate, all’impossibilità di protestare e difendersi dalla crudeltà dei genitori, al rimpianto per non aver potuto esprimere appieno le proprie potenzialità. Per esempio, se ad un bambino non è stato permesso di manifestare la sua tristezza e il suo dolore per aver dovuto lasciare l’amico del cuore in occasione di un trasferimento della sua famiglia, da adulto potrà cercare di non coinvolgersi in nuovi attaccamenti, o sarà trattenuto nel mostrare le sue emozioni in nuovi rapporti.

In vari episodi della storia infantile, è possibile che qualche bisogno precoce importante sia rimasto insoddisfatto e abbia impedito alla persona di completare il ciclo in modo giusto per lei sia dal punto di vista biologico che psicologico. Così oggi ha ancora bisogno di risolvere vecchie esperienze di sofferenza, di risentimento o di rabbia.

I compiti rimasti interrotti sono ricordati meglio di quelli conclusi, poiché alle “situazioni non finite” si accompagna un certo grado di tensione. Senza un completamento dell’esperienza, l’energia della persona e le sue risorse psicologiche sono intrappolate nella “situazione non conclusa” al di fuori della sua consapevolezza e non riesce a utilizzarle utilmente per se e per costruire sane relazioni nel presente.

Il blocco dell’energia può esprimersi anche a livello corporeo sviluppando una sorta di corazza fisica e posture di difesa compensative. Per esempio se a un bambino è stato impedito di esprimere la naturale ostilità per la nascita del nuovo fratellino, può aver imparato a cancellare il suo originario bisogno di protestare ancorandolo ai muscoli della schiena, così che poi, nell’età adulta, sarà soggetto a un dolore cronico alla schiena dietro alla spalla destra.

La chiusura della Gestalt incompiuta può essere portata a termine in un percorso in cui la persona possa riconoscere e affermare in modo assertivo il bisogno originario insoddisfatto o avviarsi all’accettazione, lasciandolo andare consapevolmente.

L’impulso a completare

Quando i bisogni di base del bambino molto piccolo vengono soddisfatti correttamente, il ciclo organistico si ripeterà più volte con successo.

Purtroppo a volte chi si dovrebbe prendere cura del neonato non risponde in maniera adeguata ai suoi richiami. Inizialmente questi cercherà di manifestare più efficacemente le sue rimostranze, urlando con più forza fino a quando qualcuno non risponderà. Il suo obiettivo è fare in modo che il mondo conosca i suoi bisogni, visto che è impotente a soddisfarli da solo, ma se nonostante i suoi sforzi, il tentativo fallisce il bambino “cede” le armi in cambio della sua sopravvivenza, sopprime i suoi forti e primitivi sentimenti e possono manifestarsi mutamenti fisiologici come tenere la mandibola ermeticamente serrata. La Gestalt rimane patologicamente “fissa”.

In caso di una cronica deprivazione rispetto ai bisogni di base, i bambini attuano una sorta di chiusura cognitiva rispetto al loro trauma precoce e anche crescendo cercano di darsi delle spiegazioni sul perché non c’è stata risposta ai loro bisogni primari di comprensione o di nutrimento.

Tali spiegazioni naturalmente sono elaborate con strumenti cognitivi primitivi e limitati quali il pensiero operativo – concreto, che precede la logica formale adulta o il pensiero magico. Per esempio, se un lattante ha una madre che trova difficile occuparsi delle sue naturali funzioni fisiologiche e stabilire un naturale contatto corporeo con il figlio piccolo, questo potrebbe creargli un senso di autosvalutazione inducendolo a giustificare il comportamento materno per il fatto che deve esserci sbagliato in lui. Magari questa prima impressione trova più tardi conferma quando gli viene detto o sente dire che sua madre ha rischiato di morire per metterlo al mondo, convincendolo ulteriormente di non essere degno di amore per la sua malvagità. Trovare una spiegazione, per quanto non realistica, è il modo migliore in cui il bambino può chiudere almeno parzialmente la Gestalt e andare avanti.

L’insieme di autolimitazioni e chiusure affettive, cognitive e fisiologiche che l’organismo si è imposto diventa una Gestalt fissa. Tale modello di comportamento, applicato in modo ripetitivo e automatico, opera come una lente deformante che altera la sua relazione con il mondo e con le altre persone. Così, ripetendo quel modello primitivo, la persona crea i presupposti per riprodurre anche nel futuro il fallimento sperimentato nel passato.

In sintesi: ci sono molti meccanismi per mezzo dei quali manteniamo nel presente situazioni non concluse che hanno origine nel passato. Sono detti “disturbi del confine di contatto”, sono considerati meccanismi di auto-regolazione e hanno funzioni difensive.

Ostacolano un buon contatto con noi stessi, con gli altri e con l’ambiente, interferiscono col sano funzionamento del sé alterando il contatto finale del ciclo della consapevolezza e intervenendo anche in molti altri stadi dell’intero processo. A causa di tali disordini non riusciamo più identificare il nostro bisogno e quindi non potremo soddisfarlo: “la Gestalt rimane aperta”.

In realtà la maggior parte dei teorici della Gestalt classica (Perls, Polster e Polster, Melnick e Nevis) ammettono che talvolta tali difese possono essere usate intenzionalmente nella vita adulta in modo sano e al servizio del benessere dell’individuo. Pertanto tali meccanismi sarebbero da considerare nevrotici solo quando vengono usati cronicamente ed in maniera inappropriata. Non sono sani quando sono fissati su oggetti impossibili o inesistenti, quando limitano la consapevolezza e impediscono alla persona di integrare pienamente in sé bisogni ed esperienze. Inoltre tali interruzioni del ciclo possono essere patologiche – croniche o acute – in momenti diversi per individui diversi.

Nelle varie fasi del ciclo di formazione e distruzione della Gestalt si possono riscontrare i seguenti disturbi del confine di contatto che provocano disfunzioni in una o più fasi del ciclo, o ritardandole o impedendo il loro completamento, col risultato che il contatto finale viene compromesso.

Diagramma sintetico del ciclo di formazione e distruzione della Gestalt e dei disturbi caratteristici al confine di contatto per ogni stadio.

se

La parte interna del circolo rappresenta il sé e la parte del campo al di fuori del circolo rappresenta l’ambiente, la linea di circonferenza del cerchio collocata tra la parte interna e la parte esterna rappresenta dunque il confine che delimita lo scambio organismo-ambiente.

I sette disturbi al confine di contatto vengono qui sintetizzati ricorrendo ad un’utile una metafora correlata al comportamento alimentare.

Così, nella desensibilizzazione gli stimoli intrapsichici provenienti dall’interno vengono bloccati al confine. La desensibilizzazione è come mangiare avendo le labbra congelate e senza cellule gustative. Si mangia ma non si può gustare il cibo, la bocca è come anestetizzata. La desensibilizzazione può impedire la piena consapevolezza.

Nella deflessione, si evita che gli stimoli provenienti dall’esterno penetrino attraverso il confine organismo-ambiente, cioè si serrano i denti per impedire che qualunque cosa possa essere ingerita. La deflessione interferisce con la mobilizzazione. In questo caso il problema non è un’impropria collocazione del confine, quanto il fatto che l’investimento di energia fornita al contatto non è funzionale o l’energia non è focalizzata, col risultato che diventa impossibile raggiungere lo scopo desiderato. Il “non contatto” si manifesta in vari modi: il soggetto si esprime in modi indiretti, racconta sulle cose, è poco concreto nelle sue argomentazioni parlando in generale, tende a distrarsi, è inconcludente, insomma non vive nel “qui e ora”.

Nell’introiezione, il materiale esterno viene incorporato troppo facilmente infatti il cibo viene deglutito intero, senza essere masticato o gustato. L’introiezione può impedire l’azione efficace. Quando la persona opera nel rapporto Io-Tu mediante il meccanismo dell’ introiezione, essa manifesta valori, idee, comportamenti assunti passivamente dall’ambiente che non soddisfano quindi i suoi bisogni. Al confine tra interno e mondo esterno il Tu invade l’Io.

Nella proiezione, il materiale intrapsichico è espulso troppo facilmente, come quando si sputa o si vomita ciò che era già stato ingerito. La proiezione impedisce il buon contatto finale. La persona può attribuire ad altri i propri sentimenti, comportamenti e idee, senza averli verificati. Al confine tra interno e mondo esterno l’Io invade il Tu.

Nella retroflessione, il materiale che si intendeva utilizzare per un obiettivo esterno viene rivolto verso sé stessi. Ciò è metaforicamente simile al leccarsi o al mordersi le labbra. La retroflessione sminuisce la fase di soddisfazione. L’individuo investe tutta la sua energia in un sistema intrapersonale anziché in quello interpersonale, facendo a se stesso o quello che vorrebbe fare ad altri, oppure quello che vorrebbe che gli altri facessero a lui. L’io si sostituisce al Tu.

Nell’egotismo, il materiale intrapsichico è riciclato senza alcun riferimento al mondo esterno. Ciò potrebbe essere paragonato al guardarsi nello specchio mentre si mangia. L’egotismo limita un efficace ritiro

La confluenza implica che ci sia un sistema chiuso che in effetti distrugge la funzione del confine. Ciò può essere paragonato all’allattamento al seno. la confluenza può impedire lo sviluppo soddisfacente della fase di sensazione. Quando manca completamente la distinzione tra sé ed altro, la persona si uniforma a regole esterne, non si definisce e non manifesta i suoi bisogni in prima persona. L’io si confonde col Tu.

Le interferenze o i disturbi in qualunque parte del ciclo interferiscono con l’elegante e naturale ritmo del soddisfacimento del bisogno di una persona, alienandola da se stessa.

Gli stadi del processo di counselling per la realizzazione del ciclo sano

A livello “macro” il ciclo sano nel processo del counselling può richiedere poche settimane o parecchi anni, ma a livello “micro” tale ciclo sarà evidente anche in ogni singolo incontro. Nella maggior parte delle sedute infatti il cliente muoverà dalla consapevolezza dei bisogni più pressanti di quel giorno verso la mobilizzazione dell’energia per soddisfarli, integrando percezioni, emozioni, pensieri, valori, obiettivi. In un ciclo ben funzionante questo compimento è seguito dalla soddisfazione e dal godimento, per far poi posto al successivo problema importante che emerge.

Vediamo ora le singole fasi del processo.

Sensazione

La persona diventa solitamente consapevole del suo desiderio del counselling quando c’è qualche disturbo interno od esterno all’omeostasi della sua vita.

Gli squilibri ormonali dell’adolescenza, cambiamenti nel sistema socioeconomico, cambiamenti nella vita personale più o meno improvvisi possono sconvolgere la percezione di sé e lo stile di vita.

Spesso i primi moti di scontento sono sperimentati come sensazioni fisiche: una tensioni ricorrenti in qualche parte del corpo, un freddo frequente senza apparenti cause esterne, frequenti mal di testa, difficoltà di respiro.

Una madre di cinquant’anni, si presenta alla consulenza in un momento critico: l’ultimo dei suoi figli è andato a frequentare l’università in un’altra città e lei sta esperimentando forti sentimenti di perdita e di angoscia. Ma ora anche il suo rapporto col marito è diverso. Mentre lui è meno interessato alla sessualità e più incline al riposo ozioso guardando la TV, lei si scopre improvvisamente molto più interessata al sesso che nella sua vita passata.

Fino a quel momento aveva impostato la sua esistenza realizzandosi come moglie e madre, nel rispetto dell’educazione ricevuta e delle relative prescrizioni di ruolo per la donna, così ora appare sconcertata e disorientata nel dover affrontare tutti i cambiamenti sociali, fisiologici ed intellettuali della sua vita, e per la prima volta pensa di aver bisogno di rivolgersi allo psicologo.

Consapevolezza

A poco a poco, leggendo articoli di riviste che discutono di problemi personali o ascoltando trasmissioni in cui gli ascoltatori telefonano per chiedere consiglio e conforto per le loro difficoltà, si rende più conscia della sua insoddisfazione e del suo bisogno di parlare a qualcuno. Questa nuova consapevolezza di sé stessa e dei suoi bisogni emotivi la induce alla ricerca del counselling. Parlandone con amici, scopre che molti di loro hanno già percorso questa strada, e si fa raccontare come è stata la loro esperienza.

Mobilizzazione

Ora l’impulso all’azione ha ormai acquistato maggiore forza. La donna si sente eccitata alla prospettiva di fare il primo passo, si sente più determinata e piena di energia. Mobilizza le sue risorse ed esplora ciò che l’ambiente può offrirle in relazione al suo bisogno, valuta i costi del counselling e infine telefona per un appuntamento al counsellor che le è stato suggerito da una cara amica.

Il giorno in cui si dirige allo studio per la prima volta, percepisce il suo cuore che batte, il suo respiro è accelerato e si sente eccitata di trovarsi di fronte ad una situazione nuova. Si sente un po’ come se provasse anche ansia, ma sa che in realtà non rischia nulla nell’affrontare una seduta che è solo esplorativa. E’ desiderosa di aprirsi a questa esperienza con il cuore e con la mente, perciò si sente ottimista sul suo esito. Potrebbero esserci aspetti poco piacevoli, ma non si sente obbligata a parlare di ciò che non vuole e confida che potrà usare l’occasione per imparare cose utili per la sua vita.

Azione

Ora la donna è nella stanza e la seduta ha inizio. Questo è lo stadio in cui passa all’azione. Nelle prime fasi della relazione di counselling, la maggior parte della sua energia emozionale e mentale è interessata a stringere un’alleanza operativa con il suo counsellor. Ella gli pone domande sulla sua formazione professionale, sulla sua supervisione e sulla sua opinione riguardo alla riservatezza professionale.

Nel rispondere, sceglie ed attiva l’azione idonea organizzando le proprie percezioni, emozioni e comportamenti con l’obiettivo di soddisfare il suo bisogno primario emergente. Stimolata dal counsellor, identifica il suo bisogno come desiderio di realizzare sé stessa e le sue potenzialità al di là dei ruoli che le sono prescritti dalla società.

Man mano che il dialogo procede, la donna usa il suo giudizio e la sua intuizione per decidere se il counsellor è degno di fiducia e se può lasciarsi andare ai svelare sempre più di sé stessa, anche quelle parti che fino a quel momento aveva evitato. Se la verifica del counsellor la rassicura, si darà il permesso di esprimere la sua rabbia verso le restrizioni che le sono state imposte dal sistema educativo, e verso i suoi insegnanti di sesso maschile, che non hanno mai preso in seria considerazione le sue potenzialità scientifiche.

Nelle sedute successive, viene messa in grado di esplorare meglio i suoi bisogni ed è sostenuta quando cerca di lasciar andare la sua identificazione con le aspettative del ruolo unico di madre-moglie che la famiglia e la società le hanno imposto.

Comincia a sviluppare un senso di sé stessa come persona separata, un individuo autonomo, capace di guardare criticamente i messaggi e le auto-definizioni che aveva metaforicamente “inghiottito” da giovane, decidendo oggi che cosa le piacerebbe conservare, che cosa sputare fuori e che cosa masticare, assaporare e digerire.

La donna comincia a considerare le differenti opzioni di realizzazione nella propria vita: avviare un’attività di organizzazione di rinfreschi, avere una relazione amorosa, andare all’università a studiare ingegneria chimica. Tiene un diario dei propri sogni, comincia a ad esprimere una parte di sé tramite la lavorazione della ceramica e trova esempi di donne che cambiano la loro carriera a metà della vita.

Contatto finale

Il “punto di blocco” o l”‘impasse” sono diventati la figura totale che deve essere risolta prima che la persona possa riprendere comodamente il proprio cammino evolutivo. Il contatto nel processo del counselling implica la piena e completa consapevolezza del maggior numero possibile di aspetti della situazione problematica, con la riappropriazione da parte della persona dell’intera gamma delle proprie risposte emozionali: rabbia, paura, tristezza e gioia.

Prendere contatto con le ferite e le delusioni accumulate nella propria vita ed esprimerle nel contesto di una relazione di accettazione e di facilitazione, autorizza la persona a convogliare tutte le sue risorse intellettuali, comportamentali e psicologiche verso la risoluzione del suo problema.

Durante questa fase, risolve il suo conflitto tra ciò che desidera fare, cioè realizzare tutto il suo potenziale non sfruttato, e ciò che per tutta la vita ha creduto di “dover” fare, e cioè starsene a casa a sferruzzare e a prendersi cura di figli e nipoti. Questo periodo di vero contatto è spesso esperimentato come un cambiamento radicale. Dopo questa esperienza, il cliente non può più concepire di ritornare al proprio precedente modo di essere.

Anche gli altri componenti della sua famiglia sono influenzati dai suoi cambiamenti. Inizialmente suo marito ed i suoi figli erano molto scettici sull’efficacia del suo percorso e in qualche modo temevano che li avrebbe costretti ad accettare novità non volute.

Ma ora apprezzano la crescente capacità della donna e la sua fiducia nel proprio sé ritrovato. Lui è eccitato dalla nuova sensualità della moglie e le figlie, che pure hanno dovuto rinunciare ad una precedente disponibilità senza limiti della loro madre, ora sono orgogliose di lei e delle sue nuove affermazioni e realizzazioni professionali.

Soddisfazione

La fase della soddisfazione corrisponde allo stadio del counselling del godimento e della integrazione.

Nelle sedute ormai sono assenti forti sentimenti conflittuali ed emozioni ambivalenti, ma c’è la percezione di stare procedendo in una direzione ben definita e liberamente scelta.

La paziente non è più frustrata ed ha superato le sue incertezze e paure iniziali rispetto alla propria intelligenza e capacità sociali in ambito professionale. Certo ora la sua vita è più complessa e intensa, ma sente che ne vale la pena e che l’energia spesa nel suo cammino di auto-realizzazione è decisamente preferibile alla precedente inerzia nel percorrere un binario precostituito.

La relazione di counselling diventa sempre meno importante e la stanza del colloquio diventa soprattutto un posto in cui ella condivide i frutti della sua consapevolezza e celebra i suoi successi con un compagno fidato.

Ritiro

Negli ultimi stadi del ciclo sano del counselling, il cliente si prepara alla separazione dalla relazione di counselling.

Egli ha appreso dal counsellor molte delle capacità e delle tecniche per accrescere l a propria consapevolezza e per risolvere più efficientemente i problemi, ed ora è in grado di usarle senza una guida.

Ora si prepara all’addio. E’ triste perché il nutriente contatto con il consulente sta per concludersi, ma è anche è eccitata di fronte alla prospettiva di continuare autonomamente la propria crescita. Ormai dispone di altre strutture di sostegno che ha costruito durante il percorso, per esempio un gruppo organizzato di donne professioniste che frequenta regolarmente e ha instaurato un nuovo più soddisfacente rapporto con suo marito.

La sua esperienza di counselling si dissolve nello sfondo per lasciare in primo piano la figura costituita dalla ricchezza e dalle sfide della sua nuova vita.

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