La mindfulness è una delle varie forme di meditazione che si sono susseguite nel tempo. Infatti la meditazione appartiene a diverse tradizioni che si sono affermate sia in occidente che in oriente. In generale si potrebbe dire che mentre lo scopo principale della meditazione orientale è quello di allenare la mente, la meditazione occidentale è più orientata ad aiutare l’individuo ad avvicinarsi a Dio.
L’origine della “meditazione di mindfulness” si collega agli studi svolti alcune decine di anni fa da un’equipe di psicologi e medici che volevano indagare sulle possibili cause che predispongono alcuni individui a depressioni ricorrenti. Dopo numerosi studi fu messo in risalto il ruolo importante svolto dalla “ruminazione”, una forma di dialogo interiore impazzito orientato alla negatività. Per combatterlo alcuni psicologi sperimentarono vari metodi, quali dirsi intensamente “STOP!”, cercare di confutare i propri pensieri, ricercare le proprie convinzioni sottostanti ecc. Nel tempo divenne chiaro che le strategie più efficaci implicavano una specie di “focalizzazione volontaria”.
Fu il medico americano John Kabat-Zinn che fece notare che quelle stesse tecniche in realtà sono impiegate da millenni nelle pratiche meditative. Da allora Kabat-Zinn diede a queste pratiche il nome “mindfulness” e si dedicò alla loro divulgazione in campo medico utilizzando le metodiche millenarie della meditazione Vipassana. Grazie a lui si è poi sviluppato un filone di ricerca che ha portato numerose scoperte interessanti.
In senso lato, il termine “mindfulness” si riferisce all’attenzione consapevole, intenzionale e non giudicante alla propria esperienza nel momento in cui essa viene vissuta. “Meditare” quindi significa portare l’attenzione agli oggetti esteriori o interiori che sono presenti nella nostra consapevolezza in un dato momento. Come si vede, questo non coincide con l’uso comune del termine nel mondo occidentale, secondo il quale meditare implica “ragionare su qualcosa”, fare le proprie valutazioni su un contenuto.
L’attenzione può restare focalizzata su un solo stimolo, per esempio le sensazioni del corpo o del respiro, ma può anche restare aperta a ciò che accade nel pensiero. In ogni caso anche quando ci concentriamo su un solo stimolo dobbiamo renderci conto di quando ci distraiamo dal nostro focus originario per poi tornare all’oggetto iniziale. In psicologia l’abilità di accorgersi della distrazione viene chiamata “meta-cognizione” e implica che siamo capaci di osservare i nostri stessi pensieri.
Tale atteggiamento di accettazione radicale di ciò che accade nel qui e ora viene coltivato con una pratica quotidiana di esercizi specifici, che può essere inizialmente guidata, ma che è necessario proseguire autonomamente ogni giorno. Meditare è dunque un “allenamento dell’attenzione” e come ogni altro tipo di training, richiede un’applicazione costante.
La pratica della mindfulness serve ad aiutare le persone ad abbandonare comportamenti reattivi, automatici e distruttivi nella vita quotidiana per sostituirli con scelte consapevoli ed appropriate al contesto. Partendo dalla consapevolezza di ciò che è, predispone a muoversi in direzione dei propri valori più profondi ed autentici, invece che rassegnarsi a situazioni che non appartengono alla nostra identità più profonda.
Ciò si realizza attraverso tre abilità fondamentali che vengono imparate e consolidate con l’esercizio:
- Ancorarsi al qui e ora mantenendo l’attenzione focalizzata sul momento presente, invece di essere bloccati da anticipazioni catastrofiche del futuro, oppure da sterili recriminazioni sul passato.
- Riconoscere che i pensieri sono solo una produzione della nostra mente e non una realtà oggettiva. Ciò significa raggiungere uno stato di “disidentificazione”, cioè la capacità di osservare i propri pensieri, emozioni e sensazioni senza restarne imprigionati.Più il contenuto che ci passa davanti è carico di emotività e più diventa difficile non pensarci, cioè “staccarsi da esso”. Così magari, ci si sta concentrando sul respiro e ci si rende conto ad un tratto di aver perso alcuni minuti a pensare automaticamente a come risolvere un problema di lavoro lasciato in sospeso. Non è necessariamente sbagliato seguire i propri pensieri, ciò che conta è considerare che noi siamo qualcosa di più di tali pensieri.
- Superare atteggiamenti di fuga e di rifiuto nei confronti dei propri pensieri, emozioni e sensazioni fisiche, ossia l’evitamento esperienziale. Non si tratta neppure di modificare i pensieri, come invece accade quando si attua una ristrutturazione cognitiva, ma di rendersene consapevoli accettandoli per quello che sono, una produzione mentale che compare e scompare alla nostra coscienza.
Una volta preso atto di ciò che ci accade in modo automatico e inconsapevole, possiamo esporci alle situazioni di solito evitate scegliendo su cosa applicare il nostro impegno in direzione dei nostri valori personali.
Applicazioni e vantaggi della mindfulness
I vantaggi derivanti dalla pratica regolare della meditazione di mindfulness si possono così sintetizzare
- Si possono ottenere grandi benefici a “livello corporeo”: si innalzano le nostre difese immunitarie, si riduce lo stress e le sue conseguenze (cardiopatie, mal di schiena, acuirsi dei processi infiammatori del corpo).
- A “livello cognitivo”, ragioniamo con più chiarezza: allenarsi alla disidentificazione ci rende maggiormente in grado di percepire gli eventi esterni della vita di tutti i giorni con una particolare lucidità.
- Sul “piano emozionale” sappiamo regolare meglio le nostre emozioni poiché attraverso la meditazione arriviamo a una sorta di distacco emotivo dai nostri pensieri e contenuti mentali. Per esempio impariamo a non fissarci sui contrattempi quotidiani che di solito ci fanno ribollire di rabbia, e riusciamo finalmente a farceli scivolare addosso.
- In “ambito relazionale”, diventiamo capaci di vivere più positivamente i nostri rapporti con gli altri: l’allenamento dell’attenzione ci rende più capaci di vero ascolto, siamo meno reattivi ad eventuali provocazioni, diventiamo meno giudicanti e più compassionevoli.
Studi recenti indicano, che la pratica regolare di tali esercizi o “meditazioni” ha profondi effetti positivi sulla salute fisica e mentale, pertanto chiunque può trarne grandi benefici personali e professionali, quali una migliore gestione dello stress che permette di non cadere nel burn out, una maggiore forza e consapevolezza di sé che induce ad adottare scelte più soddisfacenti, creative e appropriate al contesto.
Inoltre, la pratica della mindfulness può essere integrata con qualsiasi tipo di approccio terapeutico, in quanto apre la strada all’accettazione ed esplorazione della propria interiorità e del proprio corpo favorendo i processi di rielaborazione. Lo stesso Daniel Goleman, autore del testo “Intelligenza emotiva” ha dichiarato che le sue teorie sarebbero poco utili in assenza di una buon allenamento dell’attenzione tramite la pratica meditativa.
Poiché Il counseling psicologico promuove lo sviluppo dell’autoconsapevolezza e dell’accettazione ai fini della salute e del benessere psicologico, si può rilevare una certa convergenza di obiettivi con quelli della mindfulness.
Lo stesso terapeuta, per essere efficace, deve praticare la consapevolezza e avere un atteggiamento di autoaccettazione e quell’accettazione empatica del paziente che è indispensabile per stabilire una solida alleanza.
Quando il terapeuta rileva che il paziente mette in atto strategie di controllo nei confronti del proprio vissuto soggettivo che portano la persona all’evitamento esperienziale, è bene che le consideri come una “normalità disfunzionale”. In effetti siamo educati fin da piccoli a nascondere i sentimenti considerati inappropriati o sbagliati, quali la rabbia e talvolta anche il dolore e soprattutto a combatterli, a negarli, a volerli sopprimere o modificare. Incoraggiare nella persona lo sviluppo di abilità di mindfulness, le renderà più facile accettare le esperienze private, quali pensieri e sentimenti difficili, attraverso la consapevolezza della loro natura essenzialmente impermanente e non reale in senso oggettivo.
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